C'era una volta un paese
lontano, la Pomerania, nel buio e gelido Nord, dove abitava una ragazza
un po' sola e assai indaffarata. Lavorava
tanto per diventare professoressa, non usciva mai, e viveva di ricordi.
Un giorno ella conobbe un giovane bellissimo e affascinante il quale si
invaghì di lei, e, pazzo d'amore, per tenerle compagnia, cominciò a
scriverle dei racconti...
La strana storia del
Cavaliere pazzo e della Principessa stramba.
La
storia di calimero e della rana pomerana... o "amore a prima svista".
C’era una volta un Cavaliere pazzo che sentì parlare di una
Principessa stramba. Egli se ne innamorò immantinente (era un
Cavaliere che aveva letto qualcosa e parlava in modo libresco, con una
erre moscia che conferiva al tutto un alone di signorilità) e partì alla
volta del suo castello in Pomerania.
Le molte donzellette del suo Harem di
Frosinone alla notizia della sua partenza scoppiarono in lacrime, ed il
Cavaliere se ne compiacque assai, ma fu irremovibile. Broccolone com’era
non si rese conto che erano lacrime di gioia… ma tant’è. Dopo un viaggio
periglioso arrivò al maniero della Principessa… e non trovò nessuno!
Dove la banda? Dove le bambine festanti che porgono mazzi di fiori? Dove
il popolo in tripudio che agita rami di palma? Vabbè, le palme in
Pomerania, ma quante pretese… ma almeno il sindaco con le chiavi della
città, perdio! Niente… mhh, che bella accoglienza, pensò il Cavaliere,
che era d’umore nivuro, e salì a cavallo verso il maniero della stolta
Principessa deciso a dare battaglia.
La Principessa, quando lo vide arrivare,
si mise assai di buonumore. Chi era quel tale farneticante e
gesticolante che si presentava sotto i suoi spalti? Un Principe Azzurro?
Che barba! La Principessa ne aveva già ricevuti tanti che la sala dei
trofei non bastava più. Le segrete del castello pullulavano di
giovanotti aitanti cui aveva spezzato il cuore e che ora lì languivano,
pazzi e disperati.
Ma un Cavaliere così, chi l’aveva mai
visto? Azzurro, mica tanto, a parte un paio di jeans non proprio freschi
di lavanderia. Era tutto vestito di rosso, e alla Principessa venne in
mente che forse era uno della spedizione dei Mille che aveva sbagliato
strada. E il suo cavallo bianco? Beh, sì, aveva una zampa bianca,
per il resto era nero. Ma fu quando il Cavaliere scese da cavallo che la
cosa si fece interessante, perché aveva ai piedi un paio di sci. Era un
Cavaliere montanaro, e a cavallo non ci sapeva andare. Non sapeva manco
nuotare. Insomma, era un Cavaliere delle nevi, un rude montanaro. E
anche piuttosto peloso. Insomma, un irsuto montanaro pazzo.
La Principessa era annoiata e triste. Il
suo regal consorte era preso da catalessi retrograda, e ormai non si
accorgeva più di lei. Nulla era riuscito a risvegliare il tapino dal suo
sonno imbelle, nemmeno le sue maliarde arti amatorie (e sì, che, non per
vantarsi, ma la principessa era sulla piazza da quando aveva 17
anni!). Forse il Cavaliere era quello che ci voleva, ma la Principessa
decise di metterlo alla prova. Lo affidò allora al terribile conte
Alessio, il crudele maestro di cerimonie. Era costui un tipo losco, e
guatava il nuovo venuto con fare amichevole, ma in realtà covando nel
cuore segreti e sadici propositi.
Il losco Alessio chiese al Cavaliere
pazzo cosa sarebbe stato disposto a fare per la Principessa. “Tutto –
lo sventurato esclamò – : sono pazzo!”. “Pazzo pazzo, o
pazzo della Principessa?” chiese Alessio incuriosito. “Sono pazzo
di lei perché sono pazzo io e sono pazzo ad essere pazzo di lei, ma
siccome sono pazzo non è da farci caso, più pazzi di così si muore”.
Il Maestro di Cerimonie disse tra sé e
sé: “ohibò, costui sta fuori come un balcone!” e disse al
Cavaliere: “Invero, Messere, molte ardue prove dovrete affrontare per
avvicinarvi al cuore della Principessa”. “Qualunque cosa
m’aggrada, rispose lui, anche andare in Islanda”. “Quisquilie,
signor mio, son buoni tutti ad andare in Islanda. Vi attendono prove ben
più terribili”.
“Parlate ordunque, tristo figuro, voi
non mi spaventate. Dite, allora, quale tremenda ordalia mi attende?”.
“Beh, potreste recitare per me in un cortometraggio destinato al
Festival del Cinema Sovversivo di Ragusa”. Il Cavaliere Pazzo
sbuffando d’impazienza decise che a tutto c’è un limite, rise di un riso
terribile e beffardo, sguainò la spada e sbudellò il losco figuro.
Scavalcò il suo cadavere fumante, e si diresse minaccioso verso la
Principessa.
“Vengo a salvarvi, signora”. “Che bel
pensiero, signor Cavaliere, ma dovrete accomodarvi in coda - ed
elencò con fare pedante: - adesso ho un meeting, poi un breefing, poi
un talk, poi la discussion, e infine una difesa. Vediamo, potrei trovare
un posticino libero per voi alle 4,30”. “Oggi pomeriggio alle 4,30? –
disse il Cavaliere – vabbè, si può fare”. “Oh, no, Cavaliere,
intendevo dire stanotte”.
Il Cavaliere si disse che una donna così
stramba non l’avrebbe mai più incontrata e che era un’occasione da non
perdere, costi quel che costi. Esclamò spiccio e burbero: “Poche
ciance, madonna!”, l’afferrò e la issò sul suo destriero, e,
facendosi strada a colpi d’ascia e di spada in una selva di draghi,
mostri orrendi, laureandi, postdoc, demografi, sociologi, statistici
attuariali, psicostoriografi e professori universitari, portò la sua
Principessa nel Maniero dell’Ibis e lì, al suono di musiche armene, e
alla luce di candele rosse la fece sua. I due principi si tolsero le
corazze e fu una notte d’amore e di passione dolce e indimenticabile.
Da allora in poi vissero felici e
contenti, e anche piuttosto di buonumore.
Questo mondo è affollato e decisamente un po' pazzo
C’era una volta una Rana Pomerana. Era tutta sola, e
passava le serate al computer a lanciare appelli di soccorso. “Aiuto, aiuto! Sono
sposata a uno stolido batrace che non si accorge più di me. C’è qualche
cavaliere lì che voglia darmi un bacio e trasformarmi in principessa?”.
Ore e ore di inutile navigazione, finché dopo aver sentito 1500 persone
insopportabili incappò in un ragazzo
affascinante... beh, insomma, alla distanza, di notte, estenuati
dalla stanchezza, si fanno mostruosi errori di prospettiva.... Decise di
cominciare con lui una conversazione leggera e gli chiese se era un
single, se gli piaceva il pane e prosciutto, e come si fa a non
diventare schizofrenici. Il giovane era del tutto confuso, come se
avesse preso un palo in testa. Ma siccome era sotto una particolare
congiunzione astrale che ricapiterà tra altri tremila anni, dette
risposte eccezionalmente intelligenti o simpatiche, così che piacque
assai alla Rana che gli chiese di cucinare per lui. Il giovane, che
nell’ambiente dei cuochi era noto come ‘Lucrezia Borgia’, e sapeva
appena fare due uova strapazzate, accettò con gioia, segretamente
sperando che la Rana soffrisse di amnesia.
Così un giorno la Rana accettò di
incontrare il meraviglioso giovane. Beh… meraviglioso… il fatto è
che la Rana aveva fatto un’operazione agli occhi che era completamente
fallita, e adesso soffriva di vistose allucinazioni. Il
meraviglioso giovane – chiamiamolo così - le accampò patetiche scuse
per il fatto di non aver potuto cucinare egli stesso, come aveva promesso
(“Sai, una fuga di gas, la casa è esplosa”), e le offrì una cena
fuori. Per tutta la sera, quello che pur sembrava un ragazzo gentile e
sensibile, si comportò invece in modo arrogante e distante. Ma la
Rana aveva una segreta e inconfessabile passione per gli stronzi e fu
amore a prima svista...
Il giovane, dal canto suo, aveva sentimenti contrastanti.
Non era del tutto insensibile alla bellezza e al fascino della Rana, ma
al tempo stesso provava l’irrefrenabile desiderio di picchiarla sulla
capoccia con una chiave inglese. Così la portò al mare, la notte, col
segreto intento di annegarla. Ma quando se la trovò tra le mani sotto la
luna piena, l’istinto irresistibile fu di baciarla.
E qui, in
una favola che si rispetti, la Rana baciata da cotanto giovane, dovrebbe
essere destata a nuova consapevolezza e diventare una principessa,
foss'anche una principessa stramba. Macchè! Le cose non vanno mai come
nelle favole: bambini date retta e datevi alla coltura delle rape!
Successe che la luce della luna piena col combinato disposto
(l’aitante giovane era un giurista e ogni tanto gli veniva da parlare in
lingua-codice) del bacio anziché trasformare la Rana in principessa,
trasformò lui in… Calimero.
E così la Rana, al mattino dopo,
trovandosi nel letto quell'essere, fece un sobbalzo (che diavolo, era
una Rana allenata) e si disse: “Non può essere!!”. E lui? Era
andato a letto consapevole di essere un giovane aitante, splendido,
meraviglioso, sublime, pieno di qualità eccezionali e… bum! scoprì di
essere un Calimero piccolo e nero. “M’è andata pure bene”, si
disse, pensando alla “Metamorfosi” di Kafka (aveva letto un par
di libri al tempo del Liceo, e questo gli faceva sempre fare buona
figura).
“Che facciamo, che non facciamo?”
si chiesero angosciati la Rana Pomerana e Calimero. E alla fine la
luminosa idea: “Andiamo in Islanda!” disse lei. E lui, che stava
ancora digerendo la terza porzione di coda alla vaccinara, esclamò
ammirato battendosi il cranio: “Giuuusto, ma come ho fatto a non
pensarci prima? La soluzione è sempre dietro l’angolo. Partiamo”.
Calimero e la Rana Pomerana andarono in
Islanda. E per fare conoscenza cominciarono a narrarsi il loro
tormentoso passato. La Rana gli raccontò di tutti i ranocchi che aveva
conosciuto, una fantasmagoria di avventure, di campi coltivati, di
stagni di acqua smeraldina. Solo che erano passati tre giorni, e il
racconto non finiva mai. Sembrava la recitazione del Libro dei Morti
tibetano. “E tu?”, chiese la Rana a Calimero. “oh, beh… diciamo che
io – rispose il pulcino imbarazzato - insomma… ho fatto cose, ho
visto gente…”. Ma la Rana era triste perché pensava al suo
Sassone di Sasso.
Ripensò al suo lungo voluttuoso
soggiorno tra i Maori e si chiese angosciata: “Ma che gli faccio io
agli uomini? Sembrano normali quando li incontro, poi dopo un po' fanno
certe facce…”. Poi guardò il piccolo Calimero e gli fece tenerezza:
“speriamo che non si pietrifichi anche lui…”. Così cominciarono
una storia d’amore dolce ed appassionata. Lui ogni tanto veniva da lei
in Pomerania, a volte lei veniva da lui, e soffrivano tanto per la
distanza, e si facevano domande su domande. Una volta la Rana domandò a
Calimero: “Ma non trovi che questa relazione sia comoda per te?”
e lui che aveva appena percorso 3000 km in tre giorni per venire da lei
e riportarla indietro riprovò ancora una volta l’impulso fortissimo di
darle un cric in testa. Però Calimero le voleva bene, e faceva tutto
questo volentieri… Lui le regalava artistici oggetti in forma di
melanzana perché lei non amava le cose a forma di cuore… aveva le idee
molto precise su tutto: rispetto alla Rana la Principessa sul Pisello
era una dilettante… Calimero e la Rana continuarono a incontrarsi per
tanto tanto tempo. Telecom Italia e Deutsche Telekom dedicarono loro un
monumento di riconoscenza nazionale e distribuirono un ricco dividendo
extra agli azionisti.
Il mondo è pieno di
rane….
...pur d'incontrare la sua amata, il
Cavaliere, folle d'amore, compì lunghi e faticosi viaggi e affrontò
molti pericoli ...
L'ultima
incredibile avventura del Cavaliere Pazzo...
“È assolutamente ridicolo”
bofonchiò. “Veramente cose da pazzi” si ripeté tra sé e sé, mentre
l’assistente di volo gli sistemava la cintura di sicurezza. Perso nei suoi
pensieri, incrociò per un attimo lo sguardo della ragazza. Si fermò a
considerarla: capelli castani, occhi scuri, pelle abbronzata, un corpo
giovane, fresco e appetitoso che si indovinava facilmente sotto la tuta
bianca, un sorriso generoso e uno sguardo evidentemente interessato. In
altri tempi si sarebbe sentito molto attratto da lei: ma niente, ormai le
altre donne non gli facevano nessun effetto, come se fosse in anestesia.
Ruppe il contatto visivo con la hostess con un’espressione talmente
disgustata (e, ma non ne era sicuro, dopo aver sibilato qualcosa) che la
poverina passò il resto della giornata a chiedersi cosa c’era in lei che non
andasse.
Si sistemò con crescente insofferenza sul seggiolino,
cercando di ricordare come era arrivato a quel punto. L’aveva conosciuta
quattro anni prima, e gli era sembrata la magnanima risposta di Dio alle sue
preghiere: bellissima, giovane, intelligente, indipendente, piena di
energia, vitalità e passione. Il loro primo incontro era andato come nei
film: scintilla, attrazione, ed amore a prima vista. Un grillo saggio – o un
subconscio preveggente - aveva cercato di opporre una debole quanto inutile
resistenza all’inevitabile: nulla da fare. C’erano tutte le premesse per una
fantastica storia d’amore. Solo un paio di piccoli dettagli guastavano il
quadro generale, altrimenti perfetto: abitava a 2000 km di distanza, e la
sua carriera accademica era lanciatissima, tanto da farla diventare, di lì a
poco, una delle star della demografia mondiale. Demografia? O dermatografia?
O demoscopia? Boh, non ne era ben sicuro, ma di una cosa era certo: se le
donne moderne vivevano a quel modo non c’era da stupirsi che la specie fosse
a rischio d’estinzione. Dove lo trovavano il tempo di riprodursi?
Dato il poco tempo a disposizione e l’enorme distanza che li separava, la
loro storia era stata, a partire da quel momento, un vorticoso susseguirsi
di fugaci incontri, sempre più frettolosi e rigidamente cadenzati: incontro,
saluti, copula, due secondi di baruffe tra innamorati, ma non di più per
carità che devo preparare la talk per domattina, riconciliazione rapida,
cena romantica, sonnellino veloce, aeroporto, lacrimuccia, bacio, abbraccio,
alla prossima. In questo, va detto, l’aver vissuto un anno in Svizzera gli
era stato assai d’aiuto: il tempo era prezioso e andava sfruttato con
efficienza. Altro che carpe diem, lui era arrivato ormai al carpe
minutum.
Dato che i suoi numerosi impegni non le consentivano di
stare ferma nello stesso posto più di ventiquattr’ore (talvolta lei
ammetteva di invidiare la tranquilla vita stanziale dei circhi
equestri), i loro incontri avvenivano nei luoghi più disparati. Il loro
primo appuntamento se lo erano dati in Islanda. Detto in confidenza, il
posto meno indicato per vivere una torrida passione amorosa: lì, a cinquanta
chilometri a sud del Circolo Polare Artico, con un freddo bestiale in pieno
giugno, il suo migliore amico aveva assunto la consistenza, la monumentale
rigidità, ma anche la stolida insensibilità di una stalagmite. Poi una serie
di salti qua e là in rapida successione per il pianeta, come due canguri
impazziti, un giorno al mare in Italia, il giorno dopo in Baviera. La sua
conoscenza delle ferrovie e delle autostrade germaniche era diventata tale
da renderlo una sicura autorità in materia.
C’era poi un altro
seccante inconveniente: lo stato civile di lei non era esattamente libero.
All’epoca infatti era sposata, con un uomo che in costanza di matrimonio si
era scoperto una vena contemplativa, e che poi, subito dopo la separazione,
si sarebbe ritirato sul Monte Athos per entrare nella confraternita dei
monaci esicasti.
Un ovvio senso di rispetto e discrezione lo aveva
costretto pertanto a non rendere immediatamente percettibile la sua
presenza, e a celare il loro rapporto. Si era affinato dunque nell’arte
del travestimento e della mimetizzazione. In Alaska - dove lei si era
recata ad assistere alla talk del chair di antropologia nella locale
università (un igloo monumentale) sul tema: “Riprodursi al gelo”
- si era vestito il primo giorno da eschimese, il secondo da pescatore
di merluzzi, il terzo da cercatore d’oro dello Yukon, un omaggio alle
letture di fumetti di gioventù. La polizia aveva voluto sapere che ci
faceva in giro per Anchorage con la tuba e la palandrana di Zio Paperone,
ma erano stati gentili, e dopo aver verificato che non si trattava di un
caso di ubriachezza molesta, o peggio di droga, ma solo di un imbecille
innamorato, lo avevano congedato con una grassa risata e una sonora
pacca tra le scapole, una cosa da fargli sputare una tonsilla, che
maniere…
In Nuova Zelanda - dove lei era stata convocata come cultrice della
materia al convegno sui “Comportamenti riproduttivi a testa in
giù” - il suo travestimento da Maori aveva riscosso un grande
successo, e quella notte lei lo aveva amato con una passione e un ardore
senza precedenti… chissà perché, si chiese grattandosi la fronte… mhh,
sempre questo fastidioso prurito in cima alla testa quando pensava a
lei…
Ma adesso era veramente troppo. Quella non era vita per lui.
Avrebbero dovuto parlare del loro futuro un giorno… sì, solo che ne
avessero trovato il tempo. Aveva seguito quella pazza donna ai quattro
angoli del pianeta, ma così non si poteva andare avanti. I suoi amici
conducevano tutti una tranquilla routine familiare – moglie casalinga,
marmocchi, pantofole, caminetto, cane sanbernardo, pesci rossi, gita
domenicale ai Castelli i più avventurosi. Invece lui era di nuovo in
partenza per rivederla.
Guardò di nuovo il programma del
convegno: “Comportamenti riproduttivi in assenza di peso”.
Indiscutibilmente interessante, certo… Ma perché, accidentaccio
cane …
si fermò improvvisamente nei suoi pensieri, stordito
dall’ignizione dei motori posteriori…
perché diavolo, si
chiese …
cercò disperatamente di non perdere il filo dei suoi argomenti
mentre una violentissima subitanea pressione spingeva il suo diaframma
in alto e il corpo in basso, schiacciato contro il seggiolino come da un
maglio di diverse tonnellate…
perché per incontrare la mia
ragazza…
poi un senso di leggerezza lo pervase, come se il
suo corpo fosse del tutto immateriale, solo le cinture di sicurezza gli
impedirono di proiettarsi in aria …
perché diavolo per
incontrare la mia ragazza…
improvvisamente il sole gli
apparve glorioso in cielo, splendido e luminosissimo…
ma
perché per incontrare la mia ragazza devo andare …
fin sulla…
…Lunaaaaaaaaaaaa????…
...ma un bel giorno la bella favola finì
perchè la Rana aveva troppo da lavorare per pensare ai Cavalieri Pazzi e
troppo senso pratico per credere alle favole sino in fondo. Così rinunciò alle
distrazioni, e si fece suora di clausura in un convento della Siberia, dove
finalmente poté continuare le sue ricerche in santa pace.....
Il Cavaliere fu triste e
inconsolabile per il resto della sua vita...