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Caro Capo,
mi pareva di ricordare che in Marina è d'uso presentarsi con nome e cognome (e, perchè no, anche a dare del Lei a persone che non si conoscono).
Credo che a un militare professionista si possa ben chiedere il coraggio di
sottoscrivere le sue opinioni con nome e cognome, lei che dice?
Di norma non rispondo a lettere anonime, ma per Lei farò un'eccezione.
La ringrazio intanto di aver visitato il mio sito, e di avermi raccontato questo
aneddoto, che - ne sono certo - è tra i suoi più cari ricordi e ripeterà finché
campa a colleghi e nipotini. Temo però non abbia capito alcune cose, che quindi Le spiegherò.
Primo: io in Marina ci sono andato perchè dovevo fare il servizio militare. Era il mio dovere (costituzionale): punto e basta. Avessi potuto, ne avrei fatto volentieri a meno. Con il mio
solo Corso, la Marina si è assicurata a buon mercato i servizi di duecento giovani professionisti appena laureati. Tra questi, anche molti bravi medici
('le lauree non servono, in Marina', lei scrive: ma quando si deve far curare, Lei da chi va? da un fabbro ferraio?). Tutti noi, sul mercato del lavoro, avremmo potuto guadagnare molto di più, e fare più esperienze. La Marina ci ha impiegati - chi più chi meno bene - a suo vantaggio per un anno.Quegli 'Ufficialetti'
di complemento - contro i quali voi di carriera difendete con tanta veemenza il
vostro mondo, la 'vostra' Marina, e che siete tanto ansiosi di togliervi dai
piedi come fossero degli intrusi - al termine del periodo di ferma non si vaporizzano nel nulla, non
diventano vapore atomico. No, caro, crescono. Diventano stimati professionisti,
cittadini influenti, e contribuenti: la loro opinione, il loro voto pesano,
specie quando si parla di tagli alla Difesa. Non
conviene quindi inimicarseli.
Secondo: nella pagina a cui Lei si riferisce, ho voluto descrivere un'esperienza del tutto personale, a beneficio dei pivelli che faranno il corso AUC dopo di me, e trarne altresì le mie personalissime impressioni. Una di queste
è che le organizzazione gerarchiche conoscono un notevole elemento di
rigidità nei quadri intermedi. Questi spesso hanno un atteggiamento di superiorità,
se non di sfida, verso i propri superiori, motivato da una loro supposta
"maggiore esperienza".
Ora, il presupposto di un modello organizzativo gerarchico è che una direttiva partita dall'alto arrivi
alla base seguendo una ininterrotta catena di comando. Ma spesso, la catena si
interrompe proprio al suo livello.
Vede, la sorprenderò: non nego affatto il valore dell'esperienza. Anch'io sono convinto che 'un grammo di pratica vale più di un chilo di
grammatica'.
Di più: pur avendo sempre lavorato in posizioni di vertice, non amo affatto le organizzazioni gerarchiche. E infatti, nel mio tempo libero, mi dedico a Internet, che non è una piramide, ma una rete.
Penso però che una gerarchia ha le sue regole, e tra queste c'è l'obbedienza dovuta ai superiori. Tale obbedienza,
specie in un ambito militare, è dovuta sempre e comunque, a prescindere dalle valutazioni personali che uno può fare sulle capacità del proprio capo, che può essere un inetto o un ignorante, ma è prima di tutto un superiore.
Un grado, per capirci, è un po' come un semaforo rosso: lei deve fermarsi al semaforo rosso SEMPRE, a prescindere
dal fatto che dall'altra parte non stia venendo nessuno, o che la strada sia vuota,
o che a lei faccia piacere o comodo. Non nego che esistano semafori del tutto
inutili, ma guai se uno ritiene di poter decidere autonomamente quando è il caso
di rispettarli e quando no. La maggior parte degli incidenti avvengono così. Perchè c'è chi pensa di saperla più lunga del semaforo.
Molti sottufficiali che ho incontrato in Marina, e molti quadri che ho
incontrato nell'impiego civile, pensano di saperla lunga. E lo fanno pesare. E di qui tante mancanze di rispetto, a partire dall'omissione del saluto, fino all'aperta disobbedienza,
o al sabotaggio.
Dando quella risposta a quel Sottufficiale (tra parentesi, un ladro che
utilizzava i mezzi del Ministero per suoi fini personali e si era ricavato
nell'ufficio una agenzia immobiliare), non sono stato affatto presuntuoso. Ma solo far capire, a lui e a chi la pensa come lui, Lei compreso, che se
ero arrivato a quel posto, con quel grado, non era certo solo per un tragico scherzo del destino. E che se io rispettavo la sua esperienza, lui avrebbe dovuto fare altrettanto col mio grado.
Rispetto, Capo! Solo rispettando i ruoli si può ottenere rispetto e considerazione per sè stessi.
Lei scrive: "io rispetto i miei superiori", ma poche righe più sopra mi ha
chiamato
'Ufficialetto'. Che strano concetto ha lei del rispetto!
Lungi dall'essere rispettoso - dei ruoli, delle gerarchie, e soprattutto delle persone - il suo discorso, e quello di tanti suoi colleghi è invece presuntuoso
ed arrogante. Suona così: "io
non ho una Laurea, non ho il grado, ma so fare tante cose meglio dei miei
superiori, ho più esperienza di loro, sto in Marina da più tempo, quindi - sottinteso - che non mi
vengano a rompere le scatole, o gliela faccio vedere io".
Mi improvviso psicologo: non sarà per caso che questo complesso di superiorità non mascheri invece un complesso di inferiorità?
Come si spiega che tanta gente in gamba, preparata, esperta come Lei, si trova così in basso nella scala gerarchica da dover prendere ordini da chi non può vantare altrettante qualità?
Me lo spieghi Capo: se Lei è più bravo del suo superiore, come mai lui è ufficiale e lei no? Solo il destino cinico e baro?
Per chi guarda dal
basso verso l'alto la posizione di chi sta al vertice sembra
privilegiata ed invidiabile: non si dice forse (sbagliando, mi creda!)
che "Comandare è meglio che fottere"? Ma il comando,
egregio signore, è assunzione di responsabilità e rischi. Ed è anche una
posizione di infinta solitudine: molto scomoda, e non a molti piace.
Una volta chiesi a uno dei miei
sottufficiali perchè non tentasse il concorso da Ufficiale. La sua risposta mi è
rimasta impressa: "Non sia mai! Meglio essere la testa della sardina che la coda
della balena". Capito? Eh, no, troppo comodo pensare di essere bravi
quanto se non più di un superiore - senza mai mettersi alla prova. Comodo ricavarsi la propria nicchia di potere
senza prendersi le relative responsabilità.
Le persone che nella vita combinano qualcosa sanno stare al loro posto,
ma poi lavorano duro per migliorarsi e salire nella scala sociale e
gerarchica. Invece gli eterni mediocri, fermi al palo, si cullano beatamente
nella convinzione
che loro saprebbero far meglio dei loro superiori, solo che arrivassero
per miracolo a sostituirli. Non siamo del resto il paese dei 56 milioni di commissari
tecnici della Nazionale, tutti bravi a vincere i mondiali standosene in poltrona?
Terzo: per misurare la capacità e la competenza dei suoi superiori Lei parte da un assunto
del tutto errato. Lei scrive che il compito del suo superiore
"era di saperne più di Lei". Ma chi glie l'ha detto?
Seguendo il suo ragionamento, salendo nella scala gerarchica ognuno
dovrebbe saper fare - tutto e meglio - il lavoro dei suoi subalterni. Il Capo di Stato Maggiore dovrebbe
assommare in sè così tante competenze da essere in grado di sostituire indifferentemente un radarista, un pilota, un ufficiale di macchina,
un incursore e via dicendo... Dovrebbe essere non il capo della Marina, ma la
Marina al completo...
Io oggi dirigo un ufficio di 100 persone. Crede davvero che saprei e potrei
sostituirmi ad ognuno dei miei impiegati, e fare il loro lavoro come o
addirittura meglio di loro? Ma nemmeno per idea!
Il lavoro di un capo - Ufficiale o Dirigente civile che sia - è diverso da
quello dei suoi subordinati, e non perfettamente sovrapponibile. Comandare
significa organizzare, coordinare e rendere armonico e finalizzato a un
risultato il lavoro altrui. Significa far sì che tante - anche brillanti -
individualità, diventino un gruppo affiatato e produttivo. Ad un direttore
d'orchestra non si chiede di saper suonare tutti gli strumenti
musicali, come e meglio dei suoi orchestrali. Il suo valore aggiunto, rispetto
alle persone che dirige, consiste nell'estrarre da essi un risultato che è ben
più che la somma dei talenti individuali.
Quarto: parliamo
un momento della
sua supposta "esperienza". Tanto in Marina, e nelle Forze Armate in
genere, quanto - come ho visto poi - nella Pubblica Amministrazione
civile, si tende a fare molta confusione tra “esperienza” ed “anzianità
di servizio”. L’esperienza è il valore biografico. È il vissuto
specifico di un individuo, le sfide che si è lanciato, le cose che ha
fatto e che ha visto, le persone che ha incontrato: il suo contributo
originale ed insostituibile, il modo in cui ha fatto la differenza nel
suo ambiente. L’anzianità, invece, è un semplice dato anagrafico.
Troppo spesso, la carriera si fa per anzianità, il che ingenera la
sensazione che il semplice passare del tempo dia titolo ad avanzare
nella gerarchia. C’è gente che nella vita non ha mai cambiato lavoro, e
si sente così inamovibile fino a sviluppare sentimenti proprietari sul
posto di lavoro, ed a trattare i nuovi venuti come intrusi. Sa cosa
rispose a un mio suggerimento una mia funzionaria, invidiosa della mia
posizione cui lei non era mai riuscita ad arrivare? "Ma cosa vuole
saperne lei, io sto qui da 12 anni".
Le persone come
Lei si fanno forti della loro anzianità, come se fosse un valore assoluto.
Pensate che aver fatto la muffa nello stesso posto e funzione per anni sia un
titolo di merito.
La leadership non è fatta solo di esperienza, ma
anche di lungimiranza, progetto, persino sogno e utopia. Per guidare
un'automobile non serve certo essere un esperto meccanico e conoscerne tutti i
pezzi. Serve la capacità di mantenerla su una direzione e condurla a
destinazione. Chi comanda ha una
"visione" e sulla base di questa assegna ai suoi subalterni una "missione". Il
leader non è uno che percorre sentieri già battuti da altri e perciò
rassicuranti: lui ne apre di nuovi. Le persone come Lei amano dire: "Si è fatto
sempre così, continuiamo a fare così". Le persone come me dicono "Si è fatto
sempre così, questa è già di per sé una buona ragione per cambiare". Ecco perchè
non ci capiremo mai: parliamo lingue differenti, e guardiamo in direzioni
differenti. Lei al passato, io al futuro.
In un
ambiente lavorativo sano si può e si deve imparare gli uni dagli altri:
scambiare la prudenza suggerita dall'esperienza con lo slancio di chi ha
un sogno. Le persone che hanno il suo atteggiamento, però,
non offrono la propria esperienza come qualcosa da condividere. La
sbattono in faccia, per marcare il proprio territorio. Però nella vita, caro signore, non va avanti chi "sa" le cose,
bensì chi è
disposto ed ha l'umiltà di impararle. Chi sa assorbire, come una spugna,
le occasioni di crescita che la vita gli offre. Ed è per questo che le persone come lei, seppur
capaci, a un certo punto restano al palo, contente e soddisfatte di ciò
che sono.
Lei è stato a La Maddalena: avrà certamente visto in giro quei sottufficiali americani
- massicci, con la divisa
perfettamente stirata, con tante striscie sulla manica quanti sono gli anni di servizio
- fare perfetti saluti ai loro superiori (e anche agli ufficiali italiani). La Marina degli Stati Uniti è una formidabile e temibile macchina da guerra mentre la nostra è un pachidermico organismo burocratico.
Se vuole comprendere qual è il corretto rapporto che deve stabilirsi tra un giovane ufficiale inesperto e
un vecchio sottufficiale navigato, si riveda la scena finale di "Ufficiale e gentiluomo":
al termine del corso il sottufficiale inquadratore saluta sull'attenti il giovane guardiamarina che fino ad allora aveva addestrato e maltrattato.
Rispetto dei ruoli, disciplina, lealtà: sono le regole base di una organizzazione gerarchica. Di
una organizzazione siffatta, la Marina Militare, io ho fatto parte per poco tempo e
solo per assolvere agli obblighi di leva. Nonostante ciò ne ho accettato e rispettato le regole. Lei e i suoi colleghi invece siete dei volontari. E' troppo chiedere, dunque, che anche voi rispettiate le regole di una organizzazione cui appartenete per vostra libera scelta?
Comunque voglio precisare che non ho incontrato solo sottufficiali così. Niente affatto. Quello era l'ambiente ministeriale, non c'erano 'lupi di mare', solo vecchie balene spiaggiate su una scrivania da troppo tempo. Ma ne ho incontrati invece
tanti altri, specie durante le guardie notturne, che mi hanno saputo insegnare tante cose sulla Marina. E lo hanno fatto, e per questo li rispetto, senza spocchia, ma anzi con la sollecitudine di un veterano verso un giovane.
è anche grazie a loro che ricordo
l'anno passato in
Marina come una esperienza bella, importante e formativa della mia esistenza.
A presto Capo
Dario Quintavalle.
[...Il sottufficiale saputello non si fece mai più
sentire...]
Dario Quintavalle è un Dirigente del Ministero della
Giustizia.
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