Via Parigi: parte romana, parte del ’500, è al centro delle strisce blu
In via Parigi, davanti alle Terme di Diocleziano, tra il vecchio
«Planetario» e la Galleria Esedra, c'è la colonna «invisibile». Annerita e
con il basamento saccheggiato dalle lettere dell'iscrizione, è difficile
da notare perfino per un turista avido di antichità. Liscia apparteneva
alle terme di Diocleziano; ora è imprigionata al centro delle strisce blu,
con auto parcheggiate a pochi centimetri dalla base. Nel tempo è stata
aggredita dallo smog e ora sembra incapace di attirare l'attenzione, se
non per la cima. Al posto del capitello, infatti, c'è una navicella,
bombata, con le vele gonfie, tra i flutti. Una scultura in bronzo
probabilmente della fine del Cinquecento.
Precisa
B****** P****, docente di storia dell'archeologia all'università di
Tor Vergata, esperta di collezionismo, curatrice delle collezioni
Ludovisi
e
DoriaPamphilij:
«Bisogna tenere conto che questa è una zona ampiamente rimaneggiata».
Nella metà del Cinquecento, spiega la docente, fra via Parigi e largo di
Santa Susanna si stendeva la zona degli Orti
Belleiani, con la villa del cardinale JeanDuBellay: «Venuto
a Roma per una missione diplomatica, visse qui fino alla morte nel 1560.
Il cardinale costruì in questa zona la sua villa, riempiendola di
monumenti dell'età imperiale. La colonna, faceva parte del suo "giardino
delle delizie"».
Fra gli amici del cardinale, c'era Rabelais.
L'autore di «Gargantua e
Pantagruel», che all'inizio della missione diplomatica del
cardinale a Roma lo aveva seguito come medico personale, ebbe occasione
di conoscere gli Orti e la collezione di DuBellay. Il cardinale «di
Parisi», secondo la dicitura dell'epoca (che
diede il nome alla strada),
era conosciuto come un grande collezionista.
«Nel 1554 - ricorda B* P* - il cardinale, rispondendo ad una
richiesta del re, Francesco I, e del connestabile di
Montmorency, imbarcò su una nave un carico di monumenti. Pezzi del
Foro romano, delle Terme di Diocleziano e di altre antichità esistenti a
Roma. Ma la nave affondò sulla rotta per Marsiglia».
E di una nave affondata («demersanavis») si legge anche nell'iscrizione sul
basamento della colonna.
«La navicella al
posto del capitello potrebbe essere il ricordo di questo episodio», dice
la professoressa P****.
Il dubbio quindi non è sul significato della scultura, ma sul perché il
cardinale o un suo successore, l'abbia collocata lì. «Il cardinale morì a Roma
nel 1560, pieno di debiti, come altri collezionisti», ricorda BP. La nave in cima alla colonna è rimasta come un invito a non
dimenticare quei monumenti perduti in mare. O nel traffico.
Ilaria
Sacchettoni
Cronaca di Roma
Decido di scrivere al Corriere, incredulo di questo mucchio
di sciocchezze.
L’articolo a pagina 44 della edizione romana del
Corriere della Sera di oggi, domenica 8 febbraio, riguardante la Via Parigi e la colonna che vi sorge, è un raro concentrato di
inesattezze:
la Via Parigi fu aperta e
sistemata solo nel dopoguerra, e fu intitolata non al Cardinale Du
Bellay, ma proprio alla città di Parigi in occasione dello storico
gemellaggio del 1956 tra Roma e la capitale francese.
A memoria dell’evento,
ci sono sulla strada due iscrizioni dedicatorie, una proprio alla base
della colonna e una sulla lastra di marmo affissa sul muro dell’ex
planetario, in un latino elementare e facilmente intelligibile: “Lutetia
Parisiorum” è infatti il nome latino di Parigi.
La colonna che vi sorge
è – come si può leggere nell’iscrizione alla sua base - un monumento
alla città di Parigi eretto, riutilizzando una colonna antica, per
celebrare il gemellaggio del 1956.
La scultura che la
corona - di chiara fattura moderna, altro che un pezzo del Cinquecento!
– non fu apposta dal Cardinale Du Bellay o da un suo successore, bensì
fusa e regalata a Roma 45 anni fa dal Comune di Parigi a celebrazione
del Gemellaggio. Per la cronaca, una Lupa Romana fu contemporaneamente
donata dal Comune di Roma alla città di Parigi e oggi fa mostra di se
nel
parco della Place Paul Painlevé,
davanti
all’Hotel de Cluny, nel Quartiere Latino….
5. La scultura non rappresenta affatto una
nave naufragata, bensì riproduce la caravella, simbolo ufficiale della
Città di Parigi (ciò sin dal 1210 quando sotto Filippo Augusto la
corporazione dei mercanti barcaioli della Senna si costituì in Municipio
sotto il suo Prevosto Stefano Marcello, dando alla città il suo simbolo,
la caravella appunto, e il motto “fluctuat nec mergitur”).
Piuttosto che svelare
un inesistente
mistero, il Corriere avrebbe potuto
più utilmente dedicare lo spazio del
giornale a discutere su come recuperare uno spazio così prestigioso, tra
l’ex Planetario, il Grand Hotel e l’Esedra, oggi abbandonato a sé stesso,
dominio di parcheggiatori abusivi e di storni che fanno cadere le loro
deiezioni sui passanti.
Cordialità
dott. Dario Quintavalle
Roma
La lettera non viene pubblicata
subito. Si sussegue un frenetico scambio di mail tra me, l'università, e
la redazione del Corriere.
La risposta della Prof....
-----Messaggio
originale-----
Da: B******* P**** [mailto:P****...]
Inviato: martedì 10 febbraio 2004 12.08
A: darioquintavalle.....
Oggetto: La colonna di via Parigi
Egregio Dottor Quintavalle,
La ringrazio per le sue utili precisazioni in merito agli ultimi eventi di
Via Parigi.
Desidero tuttavia farLe
presente che la storia recente non annulla una realtà passata, che è
nostro dovere recuperare. Infatti la zona cui si fa riferimento fu nel
'500 destinata ai "giardini di delizia" del cardinal di Parigi Jean du
Bellay, che vi conservava la sua collezione, di cui la colonna antica
presumibilmente faceva parte.
Il caso ha voluto che un
suo carico di antichità fosse imbarcato per la Francia su una nave
naufragata nei pressi di Piombino. Stranamente sull'iscrizione del
basamento della colonna in questione le lettere latine, pur molto
deteriorate, riferiscono di una "demersa navis". Sarà pura
coincidenza?
Non credo tuttavia che il
ricordo di questi avvenimenti passati possa turbare la storia più recente,
la prova ne è che la mia intervista ha suscitato immediato interesse in
professori universitari, quali il professor Gotor, che hanno letto con
grande attenzione l'articolo e si sono complimentati con me di questo
recupero della memoria della Roma rinascimentale.
Cordialmente,
Prof.ssa B******* P****
Ordinario di Storia dell'Archeologia
Università degli Studi di Roma "Tor Vergata"
Mhhh.... " la storia recente non annulla una realtà passata" o "il
ricordo di questi avvenimenti passati non può turbare la storia più
recente"? Contraddittorio.... E perchè i complimenti di un collega
sarebbero una prova? Il senso della risposta è "stà zitto tu, che è roba
per gli addetti ai lavori". Peccato, dall'Università sono uscito e il
militare l'ho già fatto. Non ci sto. Un paio di giorni in biblioteca, e
tiro fuori qualche interessante documento.
La mia documentata replica... :-)
Gentile professoressa,
la ringrazio molto della sua pronta e cortese risposta.
Poiché lei non smentisce
l’articolo del Corriere, evidentemente si assume tutta intera la paternità
delle affermazioni in esso contenute.
Immagino che di fronte a
una docente universitaria che gode del sostegno della comunità scientifica
e dell’avallo del
prof. Gotor (ignoro del tutto chi egli sia, mea culpa!),
il sottoscritto (che non è professore, ma solo dottore, e per di più in
giurisprudenza; che nel campo non ha all’attivo pubblicazioni
scientifiche, ma solo una buona biblioteca, molte buone letture e tanta
passione per la storia antica e moderna della sua città; la cui
professione nulla ha a che vedere col mondo dell’arte e dell’archeologia,
essendo Dirigente del Ministero della Giustizia), meglio farebbe a
rimanere “muto e rassegnato” – come si diceva sotto le armi – e a
ritirarsi in buon ordine.
Eppure una delle grandi
conquiste del metodo scientifico dell’evo moderno, da Galileo in poi, è il
principio che ogni ipotesi scientifica debba essere suffragata da prove
inconfutabili per stare in piedi, non bastando a ciò l’autorità di chi la
formula. Non basta più esclamare “ipse dixit!” per chiudere una
discussione scientifica: mi sbaglio?
Mi vorrà pertanto
perdonare se avrò l’ardire di contraddire la sua tesi ardita e certamente
suggestiva con alcuni fatti documentati o facilmente documentabili, e a
sostegno di quanto dico portare una serie di prove, frutto di qualche
ricerca di archivio e di un sopralluogo ‘sul campo’.
Lei ritiene, se ho ben
capito,
che l’attuale via
Parigi prenda il nome dal cardinale Jean Du Bellay, noto come cardinale
“di Parisi” il quale nelle vicinanze (“fra via Parigi e largo di Santa
Susanna”) ebbe a metà del Cinquecento, una villa denominata Horti
Belleiani;
che la colonna che
attualmente si erge in Via Parigi sia originariamente appartenuta alle
Terme di Diocleziano e possa aver fatto parte delle collezioni del
Cardinale du Bellay, albergate in detta Villa;
che la scultura che si
trova in cima alla colonna, raffigurante una navicella, possa risalire
al Cinquecento e sia stata lì apposta dal cardinale o da un suo
successore, a ricordo del naufragio, avvenuto nel 1554 nei pressi di
Piombino, di una nave carica di reperti romani destinati al re di
Francia;
che, a riprova di ciò,
come lei mi scrive nella sua gentile risposta: “sull'iscrizione del
basamento della colonna in questione le lettere latine, pur molto
deteriorate, riferiscono di una "demersa navis"” - vale a
dire di una nave affondata.
“Il
dubbio quindi – continua l’articolo -non è sul significato della scultura, ma sul perché il cardinale o un
suo successore, l'abbia collocata lì. «Il cardinale morì a Roma nel
1560, pieno di debiti, come altri collezionisti», ricorda B******* P****.”
Già! Sarei effettivamente
curioso anch’io di capire come mai un tale, fortemente indebitato, che
abbia perso un carico di inestimabili opere d’arte, e quindi – è proprio
il caso di dirlo - ‘una barca di quattrini’, abbia poi voglia di spender
altri soldi per mettersi, proprio davanti casa, un monumento che gli
ricordi ogni giorno della sua vita questa tragica perdita. Di norma gli
uomini erigono monumenti a celebrazione dei propri trionfi, non certo
delle proprie sconfitte, le sembra?
Vediamo i problemi con
ordine:
Gli Horti Belleiani
Prima di tutto: nulla
quaestio sulla presenza nell’area di una villa denominata “Horti
Belleiani” appartenuta al Cardinale Du Bellay (1492-1560). È un fatto
noto.
Peraltro Lei localizza la
villa “fra via Parigi e largo di Santa Susanna“, vale a dire nell’isolato
dove oggi sorge il Grand Hotel. È un errore abbastanza frequente, a quanto
sembra leggendo nel libro più documentato e completo esistente oggi sul
verde suburbano di Roma, ‘Ville di Roma’ di Isa Belli Barsali (SISAR
Milano, 1970, pag 92, nota 52): “Il portale a fianco dell’ Acqua Felice,
nell’odierna Piazza S. Bernardo, in generale indicato come quello della
Villa Du Bellay (Giovannoni, Lanciani, Callari) era invece della Villa
Panzani”.
(Una curiosità: un frammento della Villa Panzani esiste ancora; è la
facciatina con balcone e finestra sormontata da aquila che si trova tra la
Fontana dell’Acqua Felice e il Grand Hotel in piazza San Bernardo).
Gli Orti Belleiani invece
occupavano, come si vede anche nella pianta di Roma del Du Perac del
1577 e nel disegno a stampa di Bernardo Gamucci del 1565 (foto a lato),
tutto il lato sud est delle Terme di Diocleziano (Belli Barsali, pagg 23
e 24). In pratica, il muro di cinta correva sull’asse delle attuali Via
Vittorio Emanuele Orlando e Via delle Terme di Diocleziano tagliando a
metà l’odierna piazza della Repubblica, dalla attuale chiesa di San
Bernardo alla attuale Via del Viminale. Il portale d’ingresso si apriva
grosso modo là dove oggi è la Fontana delle Naiadi, e la palazzina
sorgeva in mezzo all’esedra dioclezianea (sulla quale oggi insistono i
due palazzi del Koch), più o meno dove ora è l’imbocco di Via Nazionale.
La Villa si estendeva nell’area oggi attraversata dalla Via Nazionale,
quindi esattamente dalla parte opposta a Via Parigi.
Via Parigi:
Non vi è alcuna traccia, prima
del 1959, del toponimo “Parigi” nella zona, come si può riscontrare
nell’ampio corredo cartografico che raffigura la zona dal Cinquecento in
poi. Anche la strada è di formazione moderna, e fu aperta negli anni
Cinquanta.
Come si vede infatti
nella pianta del Nolli (1748), là dove oggi è via Parigi era un
diverticolo della Piazza di Termini, fiancheggiato dai magazzini annonari
costruiti dai Papi. L’area rettangolare compresa tra l’attuale Grand Hotel
e la Villa Peretti Montalto - grosso modo ove oggi è l’attuale edificio
dell’ ex Istituto Massimo (oggi Museo Archeologico Nazionale) in largo di
Villa Peretti - inclusa la metà superiore dell’odierna Piazza della
Repubblica, fu sistemata a piazza a partire dalla fine del Cinquecento. La
piazza ebbe nome di “Piazza di Termini” dalle antistanti terme di
Diocleziano, e il toponimo è rimasto fino agli inizi del secolo XX (è
ancora in una pianta del 1914 in mio possesso), comunicandosi anche alla
vicina stazione ferroviaria, che peraltro sorgeva in posizione assai più
avanzata, all'altezza dell'attuale via Enrico de Nicola.
Alla fine del secolo XIX,
con l’apertura di via Cernaia (1878) si cominciarono ad abbattere i
magazzini dell’annona e si isolò dal complesso delle Terme l’edificio
romano popolarmente oggi conosciuto come Planetarium. L’abbattimento degli
antichi granai papali fu portato a termine sotto il fascismo. Ne risultò
l’attuale area archeologica, mentre a sinistra della nuova strada furono
costruiti moderni palazzi per uffici.
Per inciso non è l’unico
caso in cui sventramenti fascisti siano stati completati nel dopoguerra:
basti pensare al caso della Via della Conciliazione, compiuta nel 1950.
Sul tema è sempre attuale la lettura del classico “Roma moderna” di Italo
Insolera.
Il Gemellaggio e Via Parigi:
Il 9 aprile 1956 le città di Roma e Parigi si unirono in gemellaggio e
alla capitale francese fu dedicata la strada di cui parliamo. L’evento fu
celebrato solennemente, e le celebrazioni ripetute negli anni a venire:
non se ne dimentichi l’enorme significato politico, visto che pochi anni
prima Italia e Francia erano state in guerra.
A memoria dell’evento,
sul muro dell’edificio del Planetarium, in Via Parigi, si trova ancor oggi
una grande lapide latina (a fianco) ove si legge chiaramente:
“Roma novam insignemque viam eximiis antiqui aevi monumentis continentem
Lutetiae Parisiorum geminae veluti sorori faustissime sibi ante triennium
coniunctae studiosa voluntate nuper dicatam sollemni ritu publicae
commoditati patefecit III kal maias anno domini MDCCCCLVIIII”.
È la prova, in solido
marmo, che via Parigi è una strada tutta nuova (novam viam) e che
fu dedicata a Parigi e aperta al traffico esattamente tre anni e un mese
dopo il gemellaggio.
Per quale motivo si
intitolò a Parigi proprio quella strada? Si volle ricordare anche il card.
Du Bellay morto 400 anni prima? È un’ipotesi non documentata e francamente
tirata per i capelli.
Nella toponomastica
romana sono infatti frequentemente ricordati giardini scomparsi con il
loro preciso nome: “Via degli Orti di Cesare”, “della Farnesina”
etc. (cfr. Tuttocittà 2004 pag.149), quindi se la Commissione
Toponomastica Comunale avesse davvero voluto conservare memoria del
Cardinale Du Bellay e dei suoi giardini avrebbe dedicato una “Via degli
Orti Belleiani”.
Credo che con questa
ipotesi si farebbe onore di troppa lungimiranza e cultura alla politica di
quegli anni caratterizzati da feroce speculazione edilizia e assai scarso
rispetto per la memoria storica di Roma. Più semplicemente, c’era una
strada nuova in pieno centro storico, ancora da intitolare - e anche da
nobilitare visto che sulle antiche rovine la famosa/famigerata Società
Generale Immobiliare aveva costruito il suo moderno palazzo per uffici (Arch.
Resta) - e fu scelta quella per celebrare il gemellaggio.
La Colonna, la Navicella e l’iscrizione sul piedistallo.
é vero e noto che il cardinal Du
Bellay spedì in Francia diversi carichi di marmi antichi, e che una
delle sue navi, diretta a Marsiglia, fu assalita e affondata dai Turchi
presso Piombino, “le patron fait prisonnier, la barque rompue, le
precieux fardeau fut precipitè au fond de la mer” (cfr: Arthur
Heulard, Rabelais en Italie, Paris 1891, p. 319, n. 2.).
Ora lei ipotizza che
la colonna di Via Parigi facesse parte delle collezioni del cardinale du
Bellay, e che la scultura che la sovrasta risalga al
Cinquecento e che rappresenti una nave affondata. A me – che sono un
profano, ma ho visto molte statue del Cinquecento - sembra evidente, così
a occhio, che la scultura è di chiara fattura moderna e rappresenta una
nave che non solo non affonda, ma fila allegramente col vento in poppa.
Via
Parigi: a sinistra gli antichi granai pontifici, a destra il Palazzo
della Società Generale Immobiliare. Nuovo e antico si mescolano
nell'ultimo sventramento di Roma.
Trovo conferma in
quanto dico in Capitolium, rivista ufficiale del Comune di Roma,
fascicolo 7 p. 13 del 1961. C’è una fotografia della colonna con
didascalia “La colonna del gemellaggio”. L’articolo dice: “Sulla Via Parigi è stata
inaugurata il 23 aprile scorso la colonna commemorativa del gemellaggio
Roma-Parigi. La colonna è di cipollino (marmor carystium) e fu trovata
anni or sono in Piazza Nicosia; non è rifinita e conserva ancora visibili
le marche di cava. Sulla colonna è stata collocata una nave di bronzo,
simbolo di Parigi, scolpita da Felix Joffre, che è stata donata dalla
municipalità di Parigi. Le iscrizioni latine sul basamento sono state
dettate dal prof. Raffaello Santarelli”.
Ed infatti, solo che si
guardi la assai rovinata iscrizione sul retro del basamento della colonna
(foto allegata) leggiamo: …LI… …O…RE SCU PSIT, che evidentemente sta per (Fe)li(x)
Jo(ff)re scu(l)psit. Il prof
Felix Joffre, nato nel 1903 e morto nel 1989
fu Prix de Rome nel 1925. Il Prof. Raffaello Santarelli fu membro insigne
del Gruppo dei Romanisti. Se può interessare, c’è anche, semicancellato,
il nome del sindaco di Roma di allora, V(R)BA(NVS) (C)IOC(C)ETT(I), il
democristiano Urbano Cioccetti.
Se l’iscrizione sul retro
del monumento è praticamente illeggibile, non lo è altrettanto quella sul
davanti del basamento della colonna (diciamo fronte Grand Hotel), la dove
si trova l’espressione “demersa navis” che è - mi perdona la brutale
sintesi? – l’unico riscontro documentale a fondamento della sua teoria.
Davvero la scritta è
del
tutto illeggibile? Lo è in verità solo la prima riga. La seconda e la
terza si leggono frammentariamente, le altre sono complete. E vi si legge
per esempio la dedica della via a Lutetia Parisiorum, cioè alla città di
Parigi, e la data del 1959. Sono sorpreso che Lei non l’abbia notato.
Proviamo a ricostruire e
poi a tradurre il testo. Se avrò ancora un po' di tempo per fare ricerche
di archivio e Lei un po’ di pazienza, mi riprometto di ritrovare
il testo
completo delle iscrizioni del prof. Santarelli. Non dovrebbe essere
difficile.
Premetto che non sono né
un esperto di epigrafia né un latinista - anzi, al Liceo Classico preferivo la
materia “ragazze” al Latino - ma vediamo che si può fare (erano vent’anni
che non toccavo un vocabolario di latino…. nostalgia…):
…ISC … ROMANO… V AEV… O … A
PERE(N)NITATIS AVSPICIVM
AURE(A) FLUC(TV)ANS (N)EC VNQV(A)M DEMERSA NAVIS
PRINCIPIS GALLORVM CIVITATIS INSIGNE
VINCVLVM TESTANTVR MVTVAE DILECTIONIS
QVA VRBIS (R)ECTORES
III KAL MAIAS A.D. MDCCCCL(V)IIII
TITVLO GEMINAE SORORIS
LVTETIAE PARISIORVM
HANC STATVERVNT VIAM NVNCVPARI
“…la leggiadra
nave galleggiante sui flutti e mai affondata, simbolo della città capitale
dei Galli, quale auspicio di perennità (i soggetti illeggibili in alto)
attestano un vincolo di reciproco affetto, per cui i reggitori dell’Urbe
stabilirono di chiamare questa via con il nome della sorella gemella,
Lutetia Parisiorum (Parigi), il giorno 3 maggio 1959”
Dunque non si parla
affatto di una nave affondata (demersa navis)… ma esattamente del contrario….di una nave
che NON affonda MAI (nec unquam).
Non ne è convinta?
Apriamo ancora la rivista Capitolium, raccolta 1962, a pag. 377, e
leggiamo nell’articolo, corredato con foto di cerimonie, “Il gemellaggio
di Roma e Parigi nell’unità europea”: “Com’è noto lo stemma della
Capitale francese ricorda con la navicella e col motto “fluctuat nec
mergitur” l’antica corporazione dei mercanti fluviali della Senna dai
quali ebbe luogo la municipalità parigina”.
E ora guardi questo
francobollo (foto in allegato) che le Poste Italiane emisero per celebrare
il terzo anniversario del gemellaggio Roma - Parigi, il 9 aprile 1959. Ci sono gli stemmi delle
due città. Quello a sinistra è lo stemma di Parigi, con la navicella.
Quanto
alla colonna, all’Archivio di Stato di Roma esiste un elenco di ben 134
pezzi, tra statue, busti, teste e altri frammenti, di proprietà del
cardinale francese: bastava controllare.
Dunque, riassumendo:
La
Via Parigi è una strada del tutto moderna, frutto di uno sventramento
fascista, aperta al traffico e dedicata alla Città di Parigi nel 1959, a
commemorazione del gemellaggio intervenuto tra le due Capitali il 9
aprile 1956.
Sulla strada è un monumento composto da una colonna antica, proveniente
da uno scavo novecentesco in piazza Nicosia (NON dalle Terme di
Diocleziano, NON dalle collezioni del Card. Du Bellay),
e da una
scultura di evidente fattura moderna (evidente, almeno, a un qualunque
occhio minimamente allenato all’arte).
La
scultura rappresenta una nave. NON una nave che affonda, ma – lo si vede
bene – una nave che galleggia tra i flutti col vento in poppa.
E
la nave che galleggia senza mai affondare (“fluctuat nec mergitur”) è la
caravella da ottocento anni simbolo di Parigi, guarda caso raffigurata
in una strada dedicata a Parigi in occasione del gemellaggio Roma-Parigi.
Abbiamo bisogno di altre
prove?
dunque...
Ora vorrei terminare
questo lungo excursus per dire che se mi sono preso tanto disturbo
per ricostruire la storia di quella povera nave, non è stato per risolvere
una dotta disputa, né per puntiglio.
Io credo, come cittadino
romano che ama Roma, che sia stato un gran merito del Corriere della Sera
accendere i riflettori su Via Parigi e dintorni.
Tutta la zona che va da
Via Bissolati alla Piazza Esedra alla Stazione Termini balza spesso agli
onori delle cronache per il traffico, le manifestazioni, la piccola
criminalità. Ma è del tutto negletta nei suoi valori storici.
Una zona un tempo
tranquilla e punteggiata di giardini è stata più volte sconvolta negli
ultimi cento anni da una serie di incauti interventi urbanistici: la
costruzione e ricostruzione della Stazione Termini hanno reso centrale una
zona un tempo periferica; lo sventramento fascista di Via Bissolati
riversa sulle piccole vie Cernaia e Parigi uno sproporzionato volume di
traffico; la rotonda del Planetarium è stata separata dal complesso delle
Terme a cui apparteneva e. benché sia previsto dal piano Regolatore del
1962, nessuno ne ha mai proposto seriamente un ricongiungimento, come
invece è accaduto per la Piramide Cestia e le Mura Aureliane; dietro il
Planetarium due aree archeologiche vuote e mute là dove un tempo era la
vita. Moderni palazzi per uffici i cui parcheggi sotterranei contendono il
posto alle rovine romane. Il traffico scorre, frettoloso e indifferente a
tutto. Fare una foto alla Mostra dell’Acqua Felice significa anche
ritrarre i motorini parcheggiati davanti. Il sottosuolo è
archeologicamente ricchissimo: anni fa fu scoperto un grande ambiente
sotterraneo davanti alla chiesa di S. Susanna (dove ora è il grande
marciapiede circolare), altri ritrovamenti sono visibili attraverso il
vitreo oblò nel pavimento del Planetarium, altri ancora sulle scale della
Metropolitana. E chissà cosa si potrebbe ancora trovare scavando davanti
al Grand Hotel.
In pochi metri quadrati
dietro Piazza della Repubblica, in una zona prestigiosissima, centrale,
storica, c’è un mix unico di grandezza e squallore: il Grand Hotel, il
Planetarium le Terme, l’Esedra, ma anche pennoni con bandiere stracciate,
un distributore di benzina, un chioschetto bar, cabine telefoniche,
un’edicola che si è allargata coi suoi manifestini, un parcheggio con
strisce blu ma dominio di un parcheggiatore abusivo e di un gruppetto di
zingare; poi qualche trans notturno, e il giovedì pomeriggio il bivacco a
cielo aperto di tutti i domestici filippini di Roma. Cupi lecci non potati
da anni fanno ombra alla luce dei lampioni, e da albergo ai tantissimi
storni che allietano il passante con le loro deiezioni. E al di sopra di
tutto, miseria, sporcizia, confusione, galleggia simpaticamente nell’aria
una nave dimenticata.
Questa è la porta
ferroviaria di Roma, al Grand Hotel scendono gli ospiti più illustri della
città. E Roma si presenta così?
Ecco, io credo che il
Corriere della Sera (che su Roma ha una grande tradizione di battaglie
urbanistiche – ricordo con nostalgia, tra gli altri, gli articoli
documentatissimi di Francesco Perego) farebbe opera assai meritoria
continuando nella riscoperta, avviata da questo articolo domenicale, di
questa zona così centrale eppure così negletta, e promuovendone il
recupero.
Lascio correre la
fantasia: dopo una campagna di stampa del Corriere, il Comune promuove un
intervento di recupero “per sottrazione” affidato a un urbanista prudente
e di sicura fama. L’area oggi a parcheggio viene sgomberata dalle macchine
e dalle tante superfetazioni, e, dopo una campagna di scavi archeologici,
pedonalizzata, destinata a verde e ricongiunta al Planetarium. Al centro
la colonna di Parigi finalmente restaurata. Una “piazza Parigi” tutta
nuova, pronta per il 9 aprile 2006, Cinquantennale del Gemellaggio…
Gentile dottor Quintavalle, ringrazio per
queste precisazioni. Le suggestioni relative alla storia della
colonna hanno tratto in inganno un docente universitario di
Archeologia e una cronista che avrebbe dovuto fare verifiche più
approfondite. Me ne scuso con i lettori. È di qualche conforto
il fatto che qualcuno si ricordi e abbia a cuore questa colonna
che, così com' è ora, pare abbandonata.
(I. S.)
(ma, neanche a dirlo, ad oggi, Gennaio
2011, lo slargo è ancora uno squallido parcheggio)...
(Il testo ricostruito:)
(lato 1) PRISCI ROMANORUM AEVI COLUMNA
PERENNITATIS AUSPICIUM
AUREA FLUCTUANS NEC UNQUAM DEMERSA NAVIS
PRINCIPIS GALLORUM CIVITATIS INSIGNE
VINCULUM TESTANTUR MUTUAE DILECTIONIS
QUA URBIS RECTORES
III KAL. MAIAS A.D. MDCCCCLVIIII
TITULO GEMINAE SORORIS
LUTETIAE PARISIORUM
HANC STATUERUNT VIAM NUNCUPARI
(lato 2) DIUTURNAE AMICITIAE MONUMENTUM
XVI KAL. IUN. A.D. MDCCCCLXI
FELICITER DICATUM
ADSTANTIBUS VIRIS CLARISSIMIS
IULIANO TARDIE
PARISIORUM CIVITATIS DECURIONIBUS PRAEPOSITO
URBANO CIOCCETTI
ALMAE URBIS MODERATORE
Oltre ai testi citati, altre fonti si trovano in:
Caterina Bernardi Salvetti, Estratto da Studi Romani Anno XVIII n. 4
Ottobre - Dicembre 1970 citato nel sito della
basilica di Santa Maria degli Angeli in Roma.
B******* P**** è Professore
ordinario di Storia dell'Archeologia, II Università di Roma Tor Vergata:
Dario Quintavalle è
dottore in Giurisprudenza e dirigente del Ministero della Giustizia
www.quintavalle.it